Ceto medio, lavoro e decentramento politico, amministrativo ed economico
i punti cardini del programma politico del partito popolare italiano di Luigi Sturzo
In un articolo pubblicato nel febbraio 1933 su Res Pubblica, “Inquietudini e orientamenti”, Sturzo faceva riferimento a tre fattori principali di inquietudine: la disoccupazione operaia, la prevalenza delle tendenze estreme, la debolezza dei governi.
Queste inquietudini derivavano dai dati preoccupanti di allora che vedeva un aumento di disoccupazione che si era estesa e aggravata dalla crisi mondiale del 1929 (secondo i dati della Società delle Nazioni la disoccupazione nei paesi industrializzati nel 1932 superò i 25 milioni di unità, cifra cui bisogna aggiungere i milioni di lavoratori agricoli e di contadini che, se non disoccupati, erano occupati quasi ovunque solo parzialmente); dati che non si discostano molto oggi di fronte ad una crisi economica che assomiglia molto a quella del ’29; infatti, in un rapporto del l’Organizzazione internazionale del lavoro il “Global employment trends” presentato nel 2008 a Ginevra, si rileva che: “Entro la fine dell’anno i disoccupati nel mondo potrebbero essere quasi 200 milioni, 18 in più rispetto ai 180 milioni del 2007 (+10%). Ma a causa della crisi economica, i senza lavoro in più nel mondo potrebbero arrivare anche a 51 milioni di unità in più rispetto a tre anni fa”. Solo nei pesi industrializzati e l’Unione europea la disoccupazione è aumentata rispetto al 2007 dal 5,7% al 6,4% con un numero di senza lavoro cresciuto di 3,5 milioni di unità, toccando quota 32,3 milioni di disoccupati. I tassi più alti di disoccupazione sono sempre in Nord Africa (10,3%) e Medio Oriente (9,4%), i più bassi sono sempre in estremo Oriente (3,8%).”
La situazione si è ulteriormente aggravata se pensiamo ci troviamo di fronte ad un rapido succedersi di crisi monetarie, di forte indebitamento dei paesi in via di sviluppo, di radicalizzazione degli squilibri economici a livello mondiale e di disoccupazione sempre più crescente in tutto il mondo, la continua distruzione del ceto medio, l’allargarsi della disparità tra ricchi e poveri e un aggravarsi di una concezione sempre più economicistica e materialistica dello sviluppo, senza dimenticare l’allargarsi della schiera del lavoro precario che determina una insicurezza per il futuro dei giovani.
Una situazione indubbiamente grave che mi fa riprendere quello che affermò Sturzo in Inquietudini e orientamenti:”La mancanza di prospettiva immediata di lavoro e la quasi nessuna speranza di una prossima ripresa, opprime gli animi di milioni e milioni di disoccupati. Questo stato d’animo è moralmente così dannoso alla psicologia sociale, quanto è più dannosa l’inerzia fisica che fa perdere a molti l’allenamento del lavoro, senza che nessuno utilizzi le loro braccia ed educhi allo sforzo quotidiano di un utile attività fisica, ne resta demoralizzata. E’ facile cominciare ad odiare la società e a sviluppare gli istinti perversi, quando non si ha uno scopo utile nella vita…Il fatto che oggi vi è una massa di gioventù che tra i venti e i trent’anni (1923-1932) non ha lavorato quasi mai, è di una gravità psichica e sociale che non ha l’uguale.”
Sturzo sostiene tra, l’altro come il fenomeno della disoccupazione “…rimane nella sua imponenza come connesso alla crisi economica, si che solo da una ripresa generale se ne può sperare un’attenuazione sensibile e con larghi effetti psicologici-sociali”
D’altra parte è indubbio che essa porterà ad un assetto politico dove si agitano i più gravi problemi sociali: “…la disoccupazione, allo stato diffuso e ogni ora crescente accentua le tendenze politico-sociali estremiste” in periodi di crisi profonde portano inevitabilmente “…alla sfiducia nell’ordine attuale, reazione contro una società incapace di risolvere i problemi della vita quotidiana, eccitamento verso soluzioni avveniristiche, tutto spinge agli estremi di una negazione o rivoluzionaria o reazionaria... simili elementi ingigantiscono e possono divenire dannosi, proprio come certi bacilli, che vivono in noi allo stato latente, ma quando capita l’influenza (ne è l’epoca) acquistano per essa una virulenza straordinaria”.
Ed è con queste considerazioni che Sturzo denuncia il pericoli di queste forze estreme che vanno a danno dell’efficienza dei partiti e delle correnti medie e sostiene che nella dinamica sociale “…il fattore precipuo di stabilità e progresso è dato dalla risoluzione equilibrata delle propulsioni degli estremi verso un’equazione media”; in questo senso il ceto medio rappresenta per Sturzo un valore fondamentale sia psicologico-morale che economico-politico; d’altra parte l’economia e il lavoro rappresentano i cardini portanti per la crescita economica e sociale di un paese che porta l’uomo alla sua giusta dignità.
Egli considerava il partito popolare italiano un partito interclassista che aveva in prevalenza nelle sue basi le “…classi medie e di cultura e nelle classi lavoratrici”; queste classi rappresentarono un punto focale del programma del partito popolare italiano di Sturzo attraverso cui egli tenta di tracciare una nuova via economica.
A proposito dei ceti medi Sturzo, nel suo discorso tenuto a Torino nel salone della Camera di Commercio il 20 dicembre 1922, ne fa un punto focale del programma politico del Partito popolare italiano sostenendo che: “…i ceti medi – sotto l’assillo, aspro e duro, della loro crisi economica – acquistano, per la loro cultura e la loro esperienza produttiva, per il modesto tenore di vita e lo spirito di risparmio, una potenzialità costruttiva superiore alla loro potenzialità economica. Essi danno la maggior parte dei loro uomini alla cultura, alla tecnica, all’amministrazione, all’industria e alla agricoltura direttiva, alle professioni liberali, al governo, a tutti i centri più vitali e più delicati del nostro congegno nazionale e statale. Questi ceti medi sono quelli che rinnovano le classi dominanti, che rilevano le correnti di educazione e di attività, sui quali si deve contare per l’avvenire del nostro paese; a questi ceti occorre dare una forza politica, che è mancata fin oggi, perché divisa fra la grande industria da un lato e l’organizzazione manuale dall’altro”. Il loro contributo avrebbe potuto dare al paese, secondo Sturzo, un notevole contributo per la elevazione dei valori morali.
D’altra parte riguardo al lavoro Sturzo, nel suo discorso programmatico tenuto a Milano il 1°ottobre 1920 dal tema “Crisi economica e crisi politica”, traccia un altro dei capisaldi fondamentali del suo programma politico e della sua attività politica e di nuova economia; egli propone di avvicinare “…il lavoratore ai mezzi di produzione e renderlo partecipe del valore produttivo, senza sopprimere né attenuare la individualità libera e operante.” Per arrivare a questo avvicinamento Sturzo propone l’azionariato popolare e la partecipazione “…comunque costruita, alle aziende industriali; lo sviluppo cooperativistico nelle imprese dove il lavoro è molto e l’alea è ridotta e limitata; sono postulati del partito popolare italiano, per arrivare a due termini fondamentali: la trasformazione del salariato in collaboratore cointeressato allo sviluppo dell’azienda, e quindi alla gioia e ai dolori della produzione; e la trasformazione della grande impresa centralizzata, capitalistica, monopolistica, in industrie a largo cointeresse sociale e perciò sindacate.”
Tutto questo per superare il concetto della cultura classica liberale che aveva visto “Il salariato assente dalla produzione, merce ed elemento di contrattazione, lasciato al gioco delle sorti prospere o avverse della grande industria…”, facendo cadere la società ad una crisi morale, economica oltre che politica.
L’obiettivo era quello di combattere la logica socialista di acutizzazione dei rapporti con il capitale, rinunciare alla lotta di classe e tendere alla “trasformazione dei rapporti del lavoro e alla eliminazione del grande salariato, e ciò sia pure come contingenza, anche attraverso la lotta di classe, per arrivare per approssimazioni pratiche alla collaborazione delle classi come suo termine finalistico.”
Sturzo nel suo programma politico non ha fatto altro, come sostenne, “… che seguire la via tracciata da Leone XIII nella Rerum Novarum”,una via di per se rivoluzionaria che, ancora oggi purtroppo, è lontana dal suo compimento e che bisognerebbe riprendere come base di partenza dell’azione politica nei programmi dei partiti odierni.
Tutto questo necessita di riformare il sistema di crescita e di sviluppo del mercato ove, certamente si sono intensificati i rapporti economici, ma ciò è avvenuto in una prospettiva di interdipendenza piuttosto che di integrazione; la questione sociale deve essere caratterizzata da solidarietà e sussidiarietà con uno spiccato fondamento etico in tutte le azioni dell’uomo, sia in campo economico che sociale.
Su queste basi Sturzo ha formulato tutta la sua teoria che si è estrinsecata a livello pratico, egli dava la sua grande importanza all’azione economica sostenendo che questa doveva essere subordinata a quella politica, facendo rilevare come l’economia senza etica è diseconomia e ritenendo, questa, di fondamentale importanza per il vivere sociale in tutte le sue componenti; considerava la moralità razionalità dell’agire; una persona morale che agisca in modo etico è razionale nelle sue azioni, mentre una persona immorale è irrazionale.
A lungo andare un sistema economico che non considera l’integrità morale dei suoi protagonisti come uno dei valori fondamentali del sistema stesso è destinato a fare acqua da tutte le parti: esso non regge all’urto dell’irrazionalità; l’economia si trasforma in diseconomia e in disutilità sociale, e l’atto economico, sostiene Sturzo, non sarà più vantaggioso qualora “…nella sua attuazione sarà inficiato da azioni di natura immorale, quali lo sfruttamento della mano d’opera, la cattiva esecuzione dell’opera, l’abuso delle risorse materiali e del denaro preso a prestito e così di seguito. Passo a passo che l’uomo agisce, sia esso il ministro dell’economia di uno stato, sia l’imprenditore, sia l’operaio, sia il proprietario, nel violare la moralità viola anche le leggi economiche, pur facendo atti singoli che presentino caratteri di utilità…tanto nella progettazione e finalità di qualsiasi attività economica, che nella sua attuazione e infine nell’uso individuale di essa, la morale vi interferisce, sia subiettivamente perché l’uomo operante è allo stesso tempo termine dell’utile e del bene; e sia oggettivamente, in quanto l’economia, quale norma utile, contiene in sé la ragione morale dell’utile stesso nella contemperata ragione sociale della sua produzione e del suo uso.”Come si può non essere d’accordo con tali affermazioni, in fondo la lesione morale data dall’abuso di certe azioni che non rechino come fine il bene comune della collettività recano “…insito il danno alla stessa economia”.
Quello a cui è necessario arrivare è la soluzione del problema del lavoro che rende efficace e sicuro il mondo produttivo.
D’altro canto a tutto questo “…si lega il problema nella riforma degli istituti pubblici e loro rappresentanze; riforme che possono essere efficaci se rese agili dal decentramento politico, amministrativo ed economico, che può valorizzare le forze, le risorse, le caratteristiche locali e regionali, così varie e diverse in Italia, da non potersi annullare e livellare neppure attraverso cinquant’anni di legislazione e di ordinamento statale centralizzato”.
In questo passo Sturzo riprende il concetto delle autonomie locali e quanto affermato nell’appello ai liberi e forti, nel quale si scrive che: “…Ad uno stato accentratore, tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i comuni, - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private…vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione; invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l’autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali”.
La grande importanza dei ceti medi, la collaborazione tra capitale e lavoro, il concetto fondamentale di una economia che senza etica è diseconomia, il decentramento delle attività amministrative e dei comuni, sono stati i punti fermi del programma politico del partito popolare italiano “…un partito sintetico nel programma ma realizzatore nella vita”; tutti aspetti ancora attuali che la politica di oggi dovrebbe tenerne conto per uno sviluppo sociale ed economico di alto valore
Nella sostanza, Sturzo, ha cercato di delineare una nuova vera via che risolvesse il problema creato da un mercato del capitalismo oligopolistico che a mezzo di mass media e di pubblicità ossessiva favorisce la domanda, la forza motrice del capitalismo delle economie private e miste di mercato, che è manovrata dal capitalismo oligopolistico: “senza più rispetto per la gerarchia dei bisogni personali, famigliari, sociali pubblici e privati. Eppur uno dei principi fondamentali della scienza economica è il rispetto della gerarchia di quei bisogni, volendo massimizzare l’utilità sociale del P.I.L. e minimizzare le disutilità personali e collettive: qualità personale, famigliare e nazionale, malcontento e noia, disgregazione delle famiglie, corruzione, delinquenza, inquinamento, sprechi di risorse e costi crescenti per i tentativi di contenere quelle disutilità. Questo è uno dei punti deboli del capitalismo oligopolistica privato e quello dello Stato ne fa la sua forza per resistere oltre i limiti della sua totale violazione dell’ordine naturale” (Da “Una vera moneta per il mondo” di Giuseppe Palladino). Sturzo si disperava del fatto, continua Giuseppe Palladino, “…che i grandi capitalisti privati e i loro amministratori e dirigenti mirano a massimizzare i profitti e non fanno caso alle disutilità ed era lungimirante nel prevedere il parallelismo tra falso benessere materiale e impoverimento morale”.
Marcello Figuccio
Presidente CISS di Asti e provincia
i punti cardini del programma politico del partito popolare italiano di Luigi Sturzo
In un articolo pubblicato nel febbraio 1933 su Res Pubblica, “Inquietudini e orientamenti”, Sturzo faceva riferimento a tre fattori principali di inquietudine: la disoccupazione operaia, la prevalenza delle tendenze estreme, la debolezza dei governi.
Queste inquietudini derivavano dai dati preoccupanti di allora che vedeva un aumento di disoccupazione che si era estesa e aggravata dalla crisi mondiale del 1929 (secondo i dati della Società delle Nazioni la disoccupazione nei paesi industrializzati nel 1932 superò i 25 milioni di unità, cifra cui bisogna aggiungere i milioni di lavoratori agricoli e di contadini che, se non disoccupati, erano occupati quasi ovunque solo parzialmente); dati che non si discostano molto oggi di fronte ad una crisi economica che assomiglia molto a quella del ’29; infatti, in un rapporto del l’Organizzazione internazionale del lavoro il “Global employment trends” presentato nel 2008 a Ginevra, si rileva che: “Entro la fine dell’anno i disoccupati nel mondo potrebbero essere quasi 200 milioni, 18 in più rispetto ai 180 milioni del 2007 (+10%). Ma a causa della crisi economica, i senza lavoro in più nel mondo potrebbero arrivare anche a 51 milioni di unità in più rispetto a tre anni fa”. Solo nei pesi industrializzati e l’Unione europea la disoccupazione è aumentata rispetto al 2007 dal 5,7% al 6,4% con un numero di senza lavoro cresciuto di 3,5 milioni di unità, toccando quota 32,3 milioni di disoccupati. I tassi più alti di disoccupazione sono sempre in Nord Africa (10,3%) e Medio Oriente (9,4%), i più bassi sono sempre in estremo Oriente (3,8%).”
La situazione si è ulteriormente aggravata se pensiamo ci troviamo di fronte ad un rapido succedersi di crisi monetarie, di forte indebitamento dei paesi in via di sviluppo, di radicalizzazione degli squilibri economici a livello mondiale e di disoccupazione sempre più crescente in tutto il mondo, la continua distruzione del ceto medio, l’allargarsi della disparità tra ricchi e poveri e un aggravarsi di una concezione sempre più economicistica e materialistica dello sviluppo, senza dimenticare l’allargarsi della schiera del lavoro precario che determina una insicurezza per il futuro dei giovani.
Una situazione indubbiamente grave che mi fa riprendere quello che affermò Sturzo in Inquietudini e orientamenti:”La mancanza di prospettiva immediata di lavoro e la quasi nessuna speranza di una prossima ripresa, opprime gli animi di milioni e milioni di disoccupati. Questo stato d’animo è moralmente così dannoso alla psicologia sociale, quanto è più dannosa l’inerzia fisica che fa perdere a molti l’allenamento del lavoro, senza che nessuno utilizzi le loro braccia ed educhi allo sforzo quotidiano di un utile attività fisica, ne resta demoralizzata. E’ facile cominciare ad odiare la società e a sviluppare gli istinti perversi, quando non si ha uno scopo utile nella vita…Il fatto che oggi vi è una massa di gioventù che tra i venti e i trent’anni (1923-1932) non ha lavorato quasi mai, è di una gravità psichica e sociale che non ha l’uguale.”
Sturzo sostiene tra, l’altro come il fenomeno della disoccupazione “…rimane nella sua imponenza come connesso alla crisi economica, si che solo da una ripresa generale se ne può sperare un’attenuazione sensibile e con larghi effetti psicologici-sociali”
D’altra parte è indubbio che essa porterà ad un assetto politico dove si agitano i più gravi problemi sociali: “…la disoccupazione, allo stato diffuso e ogni ora crescente accentua le tendenze politico-sociali estremiste” in periodi di crisi profonde portano inevitabilmente “…alla sfiducia nell’ordine attuale, reazione contro una società incapace di risolvere i problemi della vita quotidiana, eccitamento verso soluzioni avveniristiche, tutto spinge agli estremi di una negazione o rivoluzionaria o reazionaria... simili elementi ingigantiscono e possono divenire dannosi, proprio come certi bacilli, che vivono in noi allo stato latente, ma quando capita l’influenza (ne è l’epoca) acquistano per essa una virulenza straordinaria”.
Ed è con queste considerazioni che Sturzo denuncia il pericoli di queste forze estreme che vanno a danno dell’efficienza dei partiti e delle correnti medie e sostiene che nella dinamica sociale “…il fattore precipuo di stabilità e progresso è dato dalla risoluzione equilibrata delle propulsioni degli estremi verso un’equazione media”; in questo senso il ceto medio rappresenta per Sturzo un valore fondamentale sia psicologico-morale che economico-politico; d’altra parte l’economia e il lavoro rappresentano i cardini portanti per la crescita economica e sociale di un paese che porta l’uomo alla sua giusta dignità.
Egli considerava il partito popolare italiano un partito interclassista che aveva in prevalenza nelle sue basi le “…classi medie e di cultura e nelle classi lavoratrici”; queste classi rappresentarono un punto focale del programma del partito popolare italiano di Sturzo attraverso cui egli tenta di tracciare una nuova via economica.
A proposito dei ceti medi Sturzo, nel suo discorso tenuto a Torino nel salone della Camera di Commercio il 20 dicembre 1922, ne fa un punto focale del programma politico del Partito popolare italiano sostenendo che: “…i ceti medi – sotto l’assillo, aspro e duro, della loro crisi economica – acquistano, per la loro cultura e la loro esperienza produttiva, per il modesto tenore di vita e lo spirito di risparmio, una potenzialità costruttiva superiore alla loro potenzialità economica. Essi danno la maggior parte dei loro uomini alla cultura, alla tecnica, all’amministrazione, all’industria e alla agricoltura direttiva, alle professioni liberali, al governo, a tutti i centri più vitali e più delicati del nostro congegno nazionale e statale. Questi ceti medi sono quelli che rinnovano le classi dominanti, che rilevano le correnti di educazione e di attività, sui quali si deve contare per l’avvenire del nostro paese; a questi ceti occorre dare una forza politica, che è mancata fin oggi, perché divisa fra la grande industria da un lato e l’organizzazione manuale dall’altro”. Il loro contributo avrebbe potuto dare al paese, secondo Sturzo, un notevole contributo per la elevazione dei valori morali.
D’altra parte riguardo al lavoro Sturzo, nel suo discorso programmatico tenuto a Milano il 1°ottobre 1920 dal tema “Crisi economica e crisi politica”, traccia un altro dei capisaldi fondamentali del suo programma politico e della sua attività politica e di nuova economia; egli propone di avvicinare “…il lavoratore ai mezzi di produzione e renderlo partecipe del valore produttivo, senza sopprimere né attenuare la individualità libera e operante.” Per arrivare a questo avvicinamento Sturzo propone l’azionariato popolare e la partecipazione “…comunque costruita, alle aziende industriali; lo sviluppo cooperativistico nelle imprese dove il lavoro è molto e l’alea è ridotta e limitata; sono postulati del partito popolare italiano, per arrivare a due termini fondamentali: la trasformazione del salariato in collaboratore cointeressato allo sviluppo dell’azienda, e quindi alla gioia e ai dolori della produzione; e la trasformazione della grande impresa centralizzata, capitalistica, monopolistica, in industrie a largo cointeresse sociale e perciò sindacate.”
Tutto questo per superare il concetto della cultura classica liberale che aveva visto “Il salariato assente dalla produzione, merce ed elemento di contrattazione, lasciato al gioco delle sorti prospere o avverse della grande industria…”, facendo cadere la società ad una crisi morale, economica oltre che politica.
L’obiettivo era quello di combattere la logica socialista di acutizzazione dei rapporti con il capitale, rinunciare alla lotta di classe e tendere alla “trasformazione dei rapporti del lavoro e alla eliminazione del grande salariato, e ciò sia pure come contingenza, anche attraverso la lotta di classe, per arrivare per approssimazioni pratiche alla collaborazione delle classi come suo termine finalistico.”
Sturzo nel suo programma politico non ha fatto altro, come sostenne, “… che seguire la via tracciata da Leone XIII nella Rerum Novarum”,una via di per se rivoluzionaria che, ancora oggi purtroppo, è lontana dal suo compimento e che bisognerebbe riprendere come base di partenza dell’azione politica nei programmi dei partiti odierni.
Tutto questo necessita di riformare il sistema di crescita e di sviluppo del mercato ove, certamente si sono intensificati i rapporti economici, ma ciò è avvenuto in una prospettiva di interdipendenza piuttosto che di integrazione; la questione sociale deve essere caratterizzata da solidarietà e sussidiarietà con uno spiccato fondamento etico in tutte le azioni dell’uomo, sia in campo economico che sociale.
Su queste basi Sturzo ha formulato tutta la sua teoria che si è estrinsecata a livello pratico, egli dava la sua grande importanza all’azione economica sostenendo che questa doveva essere subordinata a quella politica, facendo rilevare come l’economia senza etica è diseconomia e ritenendo, questa, di fondamentale importanza per il vivere sociale in tutte le sue componenti; considerava la moralità razionalità dell’agire; una persona morale che agisca in modo etico è razionale nelle sue azioni, mentre una persona immorale è irrazionale.
A lungo andare un sistema economico che non considera l’integrità morale dei suoi protagonisti come uno dei valori fondamentali del sistema stesso è destinato a fare acqua da tutte le parti: esso non regge all’urto dell’irrazionalità; l’economia si trasforma in diseconomia e in disutilità sociale, e l’atto economico, sostiene Sturzo, non sarà più vantaggioso qualora “…nella sua attuazione sarà inficiato da azioni di natura immorale, quali lo sfruttamento della mano d’opera, la cattiva esecuzione dell’opera, l’abuso delle risorse materiali e del denaro preso a prestito e così di seguito. Passo a passo che l’uomo agisce, sia esso il ministro dell’economia di uno stato, sia l’imprenditore, sia l’operaio, sia il proprietario, nel violare la moralità viola anche le leggi economiche, pur facendo atti singoli che presentino caratteri di utilità…tanto nella progettazione e finalità di qualsiasi attività economica, che nella sua attuazione e infine nell’uso individuale di essa, la morale vi interferisce, sia subiettivamente perché l’uomo operante è allo stesso tempo termine dell’utile e del bene; e sia oggettivamente, in quanto l’economia, quale norma utile, contiene in sé la ragione morale dell’utile stesso nella contemperata ragione sociale della sua produzione e del suo uso.”Come si può non essere d’accordo con tali affermazioni, in fondo la lesione morale data dall’abuso di certe azioni che non rechino come fine il bene comune della collettività recano “…insito il danno alla stessa economia”.
Quello a cui è necessario arrivare è la soluzione del problema del lavoro che rende efficace e sicuro il mondo produttivo.
D’altro canto a tutto questo “…si lega il problema nella riforma degli istituti pubblici e loro rappresentanze; riforme che possono essere efficaci se rese agili dal decentramento politico, amministrativo ed economico, che può valorizzare le forze, le risorse, le caratteristiche locali e regionali, così varie e diverse in Italia, da non potersi annullare e livellare neppure attraverso cinquant’anni di legislazione e di ordinamento statale centralizzato”.
In questo passo Sturzo riprende il concetto delle autonomie locali e quanto affermato nell’appello ai liberi e forti, nel quale si scrive che: “…Ad uno stato accentratore, tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i comuni, - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private…vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione; invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l’autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali”.
La grande importanza dei ceti medi, la collaborazione tra capitale e lavoro, il concetto fondamentale di una economia che senza etica è diseconomia, il decentramento delle attività amministrative e dei comuni, sono stati i punti fermi del programma politico del partito popolare italiano “…un partito sintetico nel programma ma realizzatore nella vita”; tutti aspetti ancora attuali che la politica di oggi dovrebbe tenerne conto per uno sviluppo sociale ed economico di alto valore
Nella sostanza, Sturzo, ha cercato di delineare una nuova vera via che risolvesse il problema creato da un mercato del capitalismo oligopolistico che a mezzo di mass media e di pubblicità ossessiva favorisce la domanda, la forza motrice del capitalismo delle economie private e miste di mercato, che è manovrata dal capitalismo oligopolistico: “senza più rispetto per la gerarchia dei bisogni personali, famigliari, sociali pubblici e privati. Eppur uno dei principi fondamentali della scienza economica è il rispetto della gerarchia di quei bisogni, volendo massimizzare l’utilità sociale del P.I.L. e minimizzare le disutilità personali e collettive: qualità personale, famigliare e nazionale, malcontento e noia, disgregazione delle famiglie, corruzione, delinquenza, inquinamento, sprechi di risorse e costi crescenti per i tentativi di contenere quelle disutilità. Questo è uno dei punti deboli del capitalismo oligopolistica privato e quello dello Stato ne fa la sua forza per resistere oltre i limiti della sua totale violazione dell’ordine naturale” (Da “Una vera moneta per il mondo” di Giuseppe Palladino). Sturzo si disperava del fatto, continua Giuseppe Palladino, “…che i grandi capitalisti privati e i loro amministratori e dirigenti mirano a massimizzare i profitti e non fanno caso alle disutilità ed era lungimirante nel prevedere il parallelismo tra falso benessere materiale e impoverimento morale”.
Marcello Figuccio
Presidente CISS di Asti e provincia
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