ALCUNI STRUMENTI LEGISLATIVI IN ITALIA
PER FAVORIRE LA SOLIDARIETA’ E LA SUSSIDIARIETA’
La nostra società odierna è sempre più protesa verso la globalizzazione, ma questa è contrapposta alla cosiddetta glocalizzazione1 nel senso di una presenza forte, sempre più diffusa, verso il locale; emergono in molte realtà locali, sia nel mondo che in Italia, gruppi di persone che condividono un territorio limitato con la consapevolezza del vivere comune; questa realtà è fondata su diverse componenti: territoriali, sociali, politiche, economiche e culturali.
La condivisione di gruppi in un territorio limitato rafforza la qualità dei rapporti umani che si snodano su tre aspetti fondamentali: l’interscambio, la solidarietà e la cooperazione; questi hanno maggiore efficacia in ambito locale e, quindi, nei nostri comuni e nelle sue frazioni; tutto questo perché sono più stringenti i rapporti di vicinato.
Tali gruppi sono in grado di prevenire e riassorbire gli stati di disagio e abbandono sociale sostituendosi in un certo qual modo all’intervento dello Stato; sotto questo profilo associazioni di volontariato, cooperative sociali, enti non profit e, in un certo senso, anche i distretti, hanno la caratteristica di produrre, se così vogliamo dire, beni sociali ; questi soggetti sociali hanno la caratteristica di una forte prossimità alla persona, al gruppo sociale e alla famiglia, espressioni tipiche e rilevanti in ambiente locale. Questa è sussidiarietà.
In una società come la nostra il mercato globalizzato ha visto sempre più sacche di emarginazione sociale con grandi difficoltà di integrazione delle fasce più deboli delle comunità locali; si pensi agli adolescenti a rischio quelli senza padri ne maestri che hanno difficoltà a costruire una loro identità e alle ragazze madri che a volte trovano difficoltà nel conciliare i loro tempi di lavoro e di vita rendendo difficile seguire con pienezza il rapporto con i figli; al disagio minorile dovuto all’abbandono scolastico, alla crisi famigliare dovuto a separazioni e divorzi, ai grossi problemi di comunicazione della società odierna e alla ribellione all’esclusione e alla privazione di rapporti validi e significativi con la società; agli anziani la cui vita media si è allungata, un motivo di soddisfazione che deve essere visto non come un problema, ma come una risorsa per la società; senza dimenticare gli immigrati, i sofferenti psichiatrici e la prostituzione; insomma il campo è vasto e variegato.
Queste sacche di emarginazione sociale manifestano uno dei bisogni fondamentali dell’uomo: il bisogno di relazione che emerge in tutta la sua virulenza dal processo di esclusione e di abbandono messo in atto dalla comunità civile in un mondo globalizzato; il superamento di questo processo può avvenire con la partecipazione alle istituzioni e alla vita comunitaria nel locale.
Se manca una risposta a questo bisogno di relazione dei cittadini attraverso la partecipazione, il rischio frequente a cui si incorre è quello dell’emarginazione e quindi di una assoluta mancanza di integrazione nella vita in comunità; bisogno di relazione e partecipazione debbono quindi interagire fra loro per migliorare il rapporto tra l’individuo e la società perseguendo l’obiettivo di una qualità della vita di alto livello.
In Italia molti sono stati gli interventi legislativi significativi che hanno cercato di dare una risposta ai problemi di emarginazione e di degrado sociale favorendo quel processo di glocalizzazione spingendo, quindi, verso il locale2. Tutto ciò ha avuto indubbi benefici nella solidarietà e nella sussidiarietà, rafforzando il decentramento e le autonomie locali.
Sotto questo profilo è opportuno porre in evidenza la legge dell’8 Novembre 2000, n° 328 «Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»); essa impone la predisposizione di piani e progetti nell’ambito socio-assistenziale che tengano conto della specificità dei bisogni e delle risorse della comunità locale; in questo senso, al comma 3 dell’art. 8 della 328/2000, viene dato mandato alle Regioni di determinare, tramite forme di concertazione con gli enti locali interessati,“gli ambiti territoriali, le modalità e gli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete”; nella determinazione degli ambiti territoriali le regioni prevedono incentivi a favore dell’esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di decentramento e del rispetto delle autonomie locali.
E’ interessante far presente che all’art. 3 della stessa legge si sottolinea chiaramente il concetto di sussidiarietà, infatti si cita che:” La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni, ed allo stato…secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità…”;
Il quadro complessivo della 328/2000 raffigura una stretta collaborazione fra sociale e sanitario, fra pubblico e privato sociale; nella sostanza l’obiettivo è quello della integrazione di differenti soggetti sociali che insieme mettano al servizio della collettività le loro capacità nell’unitarietà di una programmazione sociale, organizzando una rete che si rivolga ad un targhet preciso di destinatari (i cittadini italiani e dell’Unione Europea, gli stranieri individuati ai sensi dell’art.41 del Dlgs 286/1998, i soggetti in condizioni di povertà o con reddito limitato, i cittadini con incapacità totale o parziale per inabilità fisica o psichica, i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendano necessari interventi assistenziali);
La legge promuove, altresì, lo sviluppo delle politiche sociali prevedendo la promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi in grado di coordinare le risorse umane e finanziarie presenti a livello locale e di collegarsi altresì alle esperienze effettuate a livello europeo; la sperimentazione, quindi, di un sistema sociale che sappia risaltare bisogni e risorse del territorio, avendo un occhio di riguardo alle esperienze a livello europeo e alle complessità del fenomeno.
Ma l’aspetto più importante che si rileva nei meandri di questa legge è la valorizzazione del terzo settore al quale viene attribuito un ruolo rilevante considerandolo come gruppo di soggetti non profit in grado di essere autonomo e attivo, capace di gestire e offrire servizi; infatti nell’art. 5, riprendendo i soggetti del terzo settore, quali gli “…organismi non lucrativi di utilità sociale, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di patronato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiosi”, sottolinea come gli stessi partecipano alla gestione ed all’offerta dei servizi in “…in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata”; naturalmente questo sistema integrato di interventi e servizi sociali deve avere come obiettivo primario “…la promozione della solidarietà, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata”.
Questo quadro normativo mette in luce come le organizzazioni del terzo settore vengono sempre più riconosciute come promotrici di attività volte all’interesse generale e come strumenti di partecipazione e di relazione; d’altro canto si rileva l’importanza della concertazione per la programmazione dei servizi e il favorire lo sviluppo dal basso dell’iniziativa dei cittadini, delle associazioni, del volontariato e delle imprese fondandosi su due aspetti: da un lato sull’autonoma capacità dei soggetti di “fare qualità” e dall’altro su una visione condivisa degli elementi qualificanti dei servizi sociali.
In questo quadro entrano in gioco i piani di zona, uno strumento fondamentale indicato dalla 328/2000 attraverso cui i Comuni, con il concorso di tutti i soggetti attivi nella progettazione debbono disegnare il sistema integrato di interventi e servizi sociali:
La legge specifica le finalità strategiche del piano di zona (art.19, comma 2) tra cui: “favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili “; “responsabilizzare i cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi”; qualificare la spesa e definirne i criteri di ripartizione sulla base di determinati obiettivi; prevedere iniziative di formazione degli operatori.
Tali finalità disegnano una stretta correlazione e concertazione tra i servizi sanitari, socio-assistenziali degli enti locali e tutto il variegato mondo degli Enti non profit e del volontariato rispondendo al forte principio di sussidiarietà e garantendo il rispetto della cultura, della identità e della libertà di scelta delle persone e delle comunità locali.
Un’altra legge che ha impresso un’accelerazione ad interventi significativi nel sociale è quella dell’8 marzo 2000, n. 53 «Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città».
Essa ha tracciato un solco importante per avviare politiche locali finalizzate alla conciliazione tra tempo privato e orari di lavoro, alla realizzazione di pari opportunità tra uomo e donna, al sostegno per genitori di soggetti portatori di handicap, al favorire il congedo per la formazione nonché al «…coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell’uso del tempo per fini di solidarietà sociale».
Il riferimento alla solidarietà sociale la 53/00 allarga i confini del concetto dell’uso del tempo che non riguarda soltanto gli orari «degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle pubbliche amministrazioni…» ma si rivolge ad altre categorie inquadrate nell’ambito delle politiche sociali come quelle degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato e degli enti riconosciuti delle confessioni religiose; tutti questi enti usano il loro tempo per obiettivi di solidarietà sociale e, quindi, agevolano e sollevano il tempo disagiato del disagio sociale.
Questa legge sottolinea il concetto di spazio - tempo che è collegato alla conciliazione dei tempi di vita e tempi di lavoro di tutti i rapporti, quelli tra genitori-figli, uomo-donna, dipendenti-imprenditori, giovani-anziani, nonché i ritmi d’uso dei luoghi mettendo in risalto l’aspetto del tempo sociale; questo ha caratteristiche diverse: nella sostanza l’uso del tempo dei cittadini riconosce e promuove la migliore articolazione dei tempi destinati all’attività lavorativa, alla vita di relazione, alla cura delle persone, alla crescita culturale e allo svago per un maggior autogoverno del tempo di vita personale e sociale.
In questo quadro riveste una rilevante importanza l’art. 27 che mette in risalto la Banca del Tempo3 come strumento atto a favorire la solidarietà e la reciprocità; gli aderenti di questa particolare Banca spendono il loro tempo ad offrire una determinata attività dando e ricevendo beni, servizi e sapere, senza l’intermediazione del denaro; essi emettono un assegno che attesta un credito di tempo da spendere chiedendo prestazioni ad altri soci; essa svolge, quindi, la funzione di mediazione tra crediti e debiti del tempo coordinando e mettendo in contatto i vari soci sulla base delle loro risorse e capacità.
La Banca del Tempo è una esperienza estremamente interessante volta a sostenere un Piano di Coordinamento dei tempi di vita dei cittadini in ambito locale favorendo i rapporti di vicinato; i suoi aderenti costruiscono attraverso uno scambio di risorse una stretta rete di solidarietà sociale creando, tra essi, un forte legame, scambiandosi il loro tempo libero con azioni che soddisfano la miriade di bisogni quotidiani che non possono essere affrontati dai servizi pubblici se non a prezzo di una complessa organizzazione.
Molte sono le risorse e le competenze utili alla comunità e ogni componente le può scambiare utilizzando il proprio tempo, unità di misura dello scambio: un esempio può essere l’esperto informatico che agevola lo studente che vuole impratichirsi sul variegato campo di internet; dei due soggetti il primo è creditore di una certa quantità di tempo che potrebbe utilizzare, ad esempio, a mezzo di un altro socio per la tinteggiatura della sua cucina o studio.
Tutto questo vale per qualsiasi altra attività: dall’offrire un trasporto in auto ad un’altra persona che né è priva, all’annaffiare le piante degli amici in vacanza, alla preparazione di una cena, alla sistemazione di una tapparella, all’insegnare la lingua italiana all’immigrato dei nostri quartieri o l’inglese allo studente in difficoltà, e così via.
In sostanza la Banca del tempo da valore al tempo di ogni persona che scambia nel suo tempo libero risorse e competenze utili al miglioramento e alla qualità delle relazioni tra individui.
È indubbio che un Piano di Coordinamento dei tempi/orari e Spazi di una città o di una Unione di Comuni, insieme alla Banca del Tempo, come suggerito dalla 53/00 e da altre leggi, offre una visione integrata di tutti i servizi pubblici che dovrebbero soddisfare gli aspetti soggettivi del vivere e, quindi, «…per gli individui appare sempre più ineludibile riuscire a stabilire un rapporto soddisfacente con le dimensioni fondamentali dell’esperienza, del tempo e dello spazio».4
E’ bene sottolineare che qualsiasi progettazione e modificazione del tempo di vita dei cittadini innesca indubbie ripercussioni sugli altri tempi per cui ogni attore sociale, dall’individuo all’interno di una famiglia o di un’organizzazione lavorativa, o un soggetto economico, o altro ancora, è collegato a tutta una serie di referenti: “…con cui interagisce (anch’essi situati all’interno di proprie organizzazioni temporali), qualsiasi trasformazione, anche minima, introdotta in ciascuno di questi sistemi provoca ripercussioni a catena e genera, di solito, disagi e pesanti processi di adattamento».
D’altra parte il tempo dei cittadini e lo spazio che essi occupano sono un binomio indissolubile; non si può parlare di tempo senza far riferimento allo spazio (spazi pubblici aperti come piazze, percorsi tematici, giardini urbani; ovvero spazi chiusi come stazioni ferroviarie, aeroporti, centri commerciali, teatri e auditori).
L’obiettivo è di un’idea di città come polis, comunità di uomini che trasformi il tempo liberato dal lavoro in tempo libero, attrezzandola come luogo vivo e vitale, in grado di costruire spazi pubblici e d’uso pubblico che assolvino, insieme ad un efficace coordinamento dei tempi di vita, sia alle funzioni ludico-ricreative dell’incontro, della socialità e dell’intrattenimento, sia di supporto alle attività della vita quotidiana quali principalmente la mobilità, l’offerta di servizi al cittadino e all’impresa, ecc
PER FAVORIRE LA SOLIDARIETA’ E LA SUSSIDIARIETA’
La nostra società odierna è sempre più protesa verso la globalizzazione, ma questa è contrapposta alla cosiddetta glocalizzazione1 nel senso di una presenza forte, sempre più diffusa, verso il locale; emergono in molte realtà locali, sia nel mondo che in Italia, gruppi di persone che condividono un territorio limitato con la consapevolezza del vivere comune; questa realtà è fondata su diverse componenti: territoriali, sociali, politiche, economiche e culturali.
La condivisione di gruppi in un territorio limitato rafforza la qualità dei rapporti umani che si snodano su tre aspetti fondamentali: l’interscambio, la solidarietà e la cooperazione; questi hanno maggiore efficacia in ambito locale e, quindi, nei nostri comuni e nelle sue frazioni; tutto questo perché sono più stringenti i rapporti di vicinato.
Tali gruppi sono in grado di prevenire e riassorbire gli stati di disagio e abbandono sociale sostituendosi in un certo qual modo all’intervento dello Stato; sotto questo profilo associazioni di volontariato, cooperative sociali, enti non profit e, in un certo senso, anche i distretti, hanno la caratteristica di produrre, se così vogliamo dire, beni sociali ; questi soggetti sociali hanno la caratteristica di una forte prossimità alla persona, al gruppo sociale e alla famiglia, espressioni tipiche e rilevanti in ambiente locale. Questa è sussidiarietà.
In una società come la nostra il mercato globalizzato ha visto sempre più sacche di emarginazione sociale con grandi difficoltà di integrazione delle fasce più deboli delle comunità locali; si pensi agli adolescenti a rischio quelli senza padri ne maestri che hanno difficoltà a costruire una loro identità e alle ragazze madri che a volte trovano difficoltà nel conciliare i loro tempi di lavoro e di vita rendendo difficile seguire con pienezza il rapporto con i figli; al disagio minorile dovuto all’abbandono scolastico, alla crisi famigliare dovuto a separazioni e divorzi, ai grossi problemi di comunicazione della società odierna e alla ribellione all’esclusione e alla privazione di rapporti validi e significativi con la società; agli anziani la cui vita media si è allungata, un motivo di soddisfazione che deve essere visto non come un problema, ma come una risorsa per la società; senza dimenticare gli immigrati, i sofferenti psichiatrici e la prostituzione; insomma il campo è vasto e variegato.
Queste sacche di emarginazione sociale manifestano uno dei bisogni fondamentali dell’uomo: il bisogno di relazione che emerge in tutta la sua virulenza dal processo di esclusione e di abbandono messo in atto dalla comunità civile in un mondo globalizzato; il superamento di questo processo può avvenire con la partecipazione alle istituzioni e alla vita comunitaria nel locale.
Se manca una risposta a questo bisogno di relazione dei cittadini attraverso la partecipazione, il rischio frequente a cui si incorre è quello dell’emarginazione e quindi di una assoluta mancanza di integrazione nella vita in comunità; bisogno di relazione e partecipazione debbono quindi interagire fra loro per migliorare il rapporto tra l’individuo e la società perseguendo l’obiettivo di una qualità della vita di alto livello.
In Italia molti sono stati gli interventi legislativi significativi che hanno cercato di dare una risposta ai problemi di emarginazione e di degrado sociale favorendo quel processo di glocalizzazione spingendo, quindi, verso il locale2. Tutto ciò ha avuto indubbi benefici nella solidarietà e nella sussidiarietà, rafforzando il decentramento e le autonomie locali.
Sotto questo profilo è opportuno porre in evidenza la legge dell’8 Novembre 2000, n° 328 «Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»); essa impone la predisposizione di piani e progetti nell’ambito socio-assistenziale che tengano conto della specificità dei bisogni e delle risorse della comunità locale; in questo senso, al comma 3 dell’art. 8 della 328/2000, viene dato mandato alle Regioni di determinare, tramite forme di concertazione con gli enti locali interessati,“gli ambiti territoriali, le modalità e gli strumenti per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete”; nella determinazione degli ambiti territoriali le regioni prevedono incentivi a favore dell’esercizio associato delle funzioni sociali in ambiti territoriali di decentramento e del rispetto delle autonomie locali.
E’ interessante far presente che all’art. 3 della stessa legge si sottolinea chiaramente il concetto di sussidiarietà, infatti si cita che:” La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni, ed allo stato…secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità…”;
Il quadro complessivo della 328/2000 raffigura una stretta collaborazione fra sociale e sanitario, fra pubblico e privato sociale; nella sostanza l’obiettivo è quello della integrazione di differenti soggetti sociali che insieme mettano al servizio della collettività le loro capacità nell’unitarietà di una programmazione sociale, organizzando una rete che si rivolga ad un targhet preciso di destinatari (i cittadini italiani e dell’Unione Europea, gli stranieri individuati ai sensi dell’art.41 del Dlgs 286/1998, i soggetti in condizioni di povertà o con reddito limitato, i cittadini con incapacità totale o parziale per inabilità fisica o psichica, i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendano necessari interventi assistenziali);
La legge promuove, altresì, lo sviluppo delle politiche sociali prevedendo la promozione della sperimentazione di modelli innovativi di servizi in grado di coordinare le risorse umane e finanziarie presenti a livello locale e di collegarsi altresì alle esperienze effettuate a livello europeo; la sperimentazione, quindi, di un sistema sociale che sappia risaltare bisogni e risorse del territorio, avendo un occhio di riguardo alle esperienze a livello europeo e alle complessità del fenomeno.
Ma l’aspetto più importante che si rileva nei meandri di questa legge è la valorizzazione del terzo settore al quale viene attribuito un ruolo rilevante considerandolo come gruppo di soggetti non profit in grado di essere autonomo e attivo, capace di gestire e offrire servizi; infatti nell’art. 5, riprendendo i soggetti del terzo settore, quali gli “…organismi non lucrativi di utilità sociale, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di patronato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiosi”, sottolinea come gli stessi partecipano alla gestione ed all’offerta dei servizi in “…in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata”; naturalmente questo sistema integrato di interventi e servizi sociali deve avere come obiettivo primario “…la promozione della solidarietà, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata”.
Questo quadro normativo mette in luce come le organizzazioni del terzo settore vengono sempre più riconosciute come promotrici di attività volte all’interesse generale e come strumenti di partecipazione e di relazione; d’altro canto si rileva l’importanza della concertazione per la programmazione dei servizi e il favorire lo sviluppo dal basso dell’iniziativa dei cittadini, delle associazioni, del volontariato e delle imprese fondandosi su due aspetti: da un lato sull’autonoma capacità dei soggetti di “fare qualità” e dall’altro su una visione condivisa degli elementi qualificanti dei servizi sociali.
In questo quadro entrano in gioco i piani di zona, uno strumento fondamentale indicato dalla 328/2000 attraverso cui i Comuni, con il concorso di tutti i soggetti attivi nella progettazione debbono disegnare il sistema integrato di interventi e servizi sociali:
La legge specifica le finalità strategiche del piano di zona (art.19, comma 2) tra cui: “favorire la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili “; “responsabilizzare i cittadini nella programmazione e nella verifica dei servizi”; qualificare la spesa e definirne i criteri di ripartizione sulla base di determinati obiettivi; prevedere iniziative di formazione degli operatori.
Tali finalità disegnano una stretta correlazione e concertazione tra i servizi sanitari, socio-assistenziali degli enti locali e tutto il variegato mondo degli Enti non profit e del volontariato rispondendo al forte principio di sussidiarietà e garantendo il rispetto della cultura, della identità e della libertà di scelta delle persone e delle comunità locali.
Un’altra legge che ha impresso un’accelerazione ad interventi significativi nel sociale è quella dell’8 marzo 2000, n. 53 «Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città».
Essa ha tracciato un solco importante per avviare politiche locali finalizzate alla conciliazione tra tempo privato e orari di lavoro, alla realizzazione di pari opportunità tra uomo e donna, al sostegno per genitori di soggetti portatori di handicap, al favorire il congedo per la formazione nonché al «…coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell’uso del tempo per fini di solidarietà sociale».
Il riferimento alla solidarietà sociale la 53/00 allarga i confini del concetto dell’uso del tempo che non riguarda soltanto gli orari «degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle pubbliche amministrazioni…» ma si rivolge ad altre categorie inquadrate nell’ambito delle politiche sociali come quelle degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato e degli enti riconosciuti delle confessioni religiose; tutti questi enti usano il loro tempo per obiettivi di solidarietà sociale e, quindi, agevolano e sollevano il tempo disagiato del disagio sociale.
Questa legge sottolinea il concetto di spazio - tempo che è collegato alla conciliazione dei tempi di vita e tempi di lavoro di tutti i rapporti, quelli tra genitori-figli, uomo-donna, dipendenti-imprenditori, giovani-anziani, nonché i ritmi d’uso dei luoghi mettendo in risalto l’aspetto del tempo sociale; questo ha caratteristiche diverse: nella sostanza l’uso del tempo dei cittadini riconosce e promuove la migliore articolazione dei tempi destinati all’attività lavorativa, alla vita di relazione, alla cura delle persone, alla crescita culturale e allo svago per un maggior autogoverno del tempo di vita personale e sociale.
In questo quadro riveste una rilevante importanza l’art. 27 che mette in risalto la Banca del Tempo3 come strumento atto a favorire la solidarietà e la reciprocità; gli aderenti di questa particolare Banca spendono il loro tempo ad offrire una determinata attività dando e ricevendo beni, servizi e sapere, senza l’intermediazione del denaro; essi emettono un assegno che attesta un credito di tempo da spendere chiedendo prestazioni ad altri soci; essa svolge, quindi, la funzione di mediazione tra crediti e debiti del tempo coordinando e mettendo in contatto i vari soci sulla base delle loro risorse e capacità.
La Banca del Tempo è una esperienza estremamente interessante volta a sostenere un Piano di Coordinamento dei tempi di vita dei cittadini in ambito locale favorendo i rapporti di vicinato; i suoi aderenti costruiscono attraverso uno scambio di risorse una stretta rete di solidarietà sociale creando, tra essi, un forte legame, scambiandosi il loro tempo libero con azioni che soddisfano la miriade di bisogni quotidiani che non possono essere affrontati dai servizi pubblici se non a prezzo di una complessa organizzazione.
Molte sono le risorse e le competenze utili alla comunità e ogni componente le può scambiare utilizzando il proprio tempo, unità di misura dello scambio: un esempio può essere l’esperto informatico che agevola lo studente che vuole impratichirsi sul variegato campo di internet; dei due soggetti il primo è creditore di una certa quantità di tempo che potrebbe utilizzare, ad esempio, a mezzo di un altro socio per la tinteggiatura della sua cucina o studio.
Tutto questo vale per qualsiasi altra attività: dall’offrire un trasporto in auto ad un’altra persona che né è priva, all’annaffiare le piante degli amici in vacanza, alla preparazione di una cena, alla sistemazione di una tapparella, all’insegnare la lingua italiana all’immigrato dei nostri quartieri o l’inglese allo studente in difficoltà, e così via.
In sostanza la Banca del tempo da valore al tempo di ogni persona che scambia nel suo tempo libero risorse e competenze utili al miglioramento e alla qualità delle relazioni tra individui.
È indubbio che un Piano di Coordinamento dei tempi/orari e Spazi di una città o di una Unione di Comuni, insieme alla Banca del Tempo, come suggerito dalla 53/00 e da altre leggi, offre una visione integrata di tutti i servizi pubblici che dovrebbero soddisfare gli aspetti soggettivi del vivere e, quindi, «…per gli individui appare sempre più ineludibile riuscire a stabilire un rapporto soddisfacente con le dimensioni fondamentali dell’esperienza, del tempo e dello spazio».4
E’ bene sottolineare che qualsiasi progettazione e modificazione del tempo di vita dei cittadini innesca indubbie ripercussioni sugli altri tempi per cui ogni attore sociale, dall’individuo all’interno di una famiglia o di un’organizzazione lavorativa, o un soggetto economico, o altro ancora, è collegato a tutta una serie di referenti: “…con cui interagisce (anch’essi situati all’interno di proprie organizzazioni temporali), qualsiasi trasformazione, anche minima, introdotta in ciascuno di questi sistemi provoca ripercussioni a catena e genera, di solito, disagi e pesanti processi di adattamento».
D’altra parte il tempo dei cittadini e lo spazio che essi occupano sono un binomio indissolubile; non si può parlare di tempo senza far riferimento allo spazio (spazi pubblici aperti come piazze, percorsi tematici, giardini urbani; ovvero spazi chiusi come stazioni ferroviarie, aeroporti, centri commerciali, teatri e auditori).
L’obiettivo è di un’idea di città come polis, comunità di uomini che trasformi il tempo liberato dal lavoro in tempo libero, attrezzandola come luogo vivo e vitale, in grado di costruire spazi pubblici e d’uso pubblico che assolvino, insieme ad un efficace coordinamento dei tempi di vita, sia alle funzioni ludico-ricreative dell’incontro, della socialità e dell’intrattenimento, sia di supporto alle attività della vita quotidiana quali principalmente la mobilità, l’offerta di servizi al cittadino e all’impresa, ecc
1 Dalla Tesi di laurea «La certificazione Etica nelle cooperative sociali» di Claudia Solaro alla Facoltà di Economia e Commercio di Torino - Relatore Prof. Guido Lazzaroni - Correlatori: Prof. S. Maiorca, dott. Marcello Figuccio e Dott.ssa M. Santagati - 11 luglio 2003 - anno accademico 2002-2003.
2 Da «Quaderni Amministrativi» 1° Trim 2007 «Il Piano di coordinamento dei tempi orari e spazi di una Unione di Comuni o di città: uno strumento efficace di solidarietà sociale» e nel II° Trim “Il ruolo del volontariato e il terzo settore nell’ambito di un efficiente piano di coordinamento dei tempi di vita dei cittadini” di Marcello FIGUCCIO – Saggi scritti sulla base di analisi e successivi progetti pilota sui tempi di vita dei cittadini con annessi progetti pilota sul «Piano di coordinamento dei Tempi/Orari/ Spazi e Banca del Tempo» del Comune di Asti e di quattro Unioni di Comuni: «Alto Astigiano», «Colline Alfieri», «Castelli tra l’Orba e la Bormida» e «Colli Tortonesi».
3 da “Quaderni amministrativi” del I° Trim. 2008 “Banche del Tempo e la loro funzione per il rafforzamento nel locale” di Figuccio Marcello
4 Da «Sociologia e progettazione del territorio» di Alfreo Mela, Maria Carmen Belloni e Luca Davico - Edizioni Carocci
Marcello Figuccio
Presidente CISS di Asti e provincia
Nessun commento:
Posta un commento